4.a domenica Quaresima - Sito di don Antonello

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4.a domenica Quaresima

Liturgia della Parola > Tempo di Quaresima
4.a domenica Quaresima


Abbiamo sempre detto che il Tempo di Avvento e di Quaresima sono due periodi in cui dobbiamo intensificare le nostre penitenze, i sacrifici e le nostre preghiere, e per questi motivi li abbiamo sempre considerati, sia noi sacerdoti, sia le persone consacrate, sia i cristiani, li abbiamo sempre considerati due periodi tristi, ma la penitenza, i sacrifici, le nostre preghiere e l’amore che dobbiamo avere nei confronti degli altri ci fanno essere sempre più vicini ad avere nel nostro cuore la vita di stessa di Dio: e allora, l’Avvento e la Quaresima devono essere due tempi di gioia.
Nell’Avvento, la terza domenica è detta “Gaudete”, e ci invita ad avere la gioia nel nostro cuore, perché il Signore sta per nascere per salvarci, e in Quaresima, questa 4.a domenica che stiamo celebrando, che è chiamata “Laetare”, nonostante i nostri sacrifici e le nostre penitenze, ci invita a gioire, a rallegrarci perché il Signore sta per offrire la sua vita per la nostra salvezza. In questa domenica siamo chiamati a vivere nella gioia la Risurrezione di Gesù. La sua morte è triste, come è triste ogni morte, ma la morte di Gesù, per noi è gioia, perché è la nostra salvezza. La morte è un male, che però si trasforma in un bene: la nostra salvezza.
Già l’Antifona d’ingresso ci dice “Rallegrati, …, esultate e gioite”, e il versetto del Salmo ci fa ripetere che il ricordo del Signore è la nostra gioia, e non la nostra tristezza.
La prima lettura ci presenta l’esilio degli ebrei a Babilonia, dopo che sono stati distrutti Gerusalemme e il Tempio, perché il popolo si era allontanato da Dio. Vengono a mancare i segni della benedizione di Dio (la terra, il re e il tempio vengono a mancare), e questa sembra quasi una maledizione da parte di Dio. Eppure, la distruzione di Gerusalemme, del tempio e l’esilio, che sono un male, diventano un tempo di grazia, che è favorevole al popolo per riaprire gli occhi e ritornare a Dio.
Nel Vangelo, Giovanni mette davanti ai nostri occhi un serpente, uno degli animali che, quando lo vediamo, ci riempie di ansia, ci fa schifo: non credo che nessuno di noi si fermi a coccolarlo, ma tutti scappiamo, perché ci fa senso. Questo animale, già nel Libro della Genesi, ci è stato presentato come il simbolo del male perché ha portato Adamo ed Eva a commettere il primo peccato, e questo animale lo troviamo anche nel Libro dei Numeri, al quale allude oggi Giovanni, quando Mosè, durante l’Esodo, ha innalzato un serpente di bronzo, e chi, del popolo, lo guardava, veniva guarito. Anche il serpente, che ci fa senso, diventa salvezza, secondo con quali occhi viene guardato.
Anche la croce era un patibolo crudele a cui si era condannati, perché sulla croce c’era un condannato a morte, straziato, torturato, maledetto dagli altri. Il serpente, l’esilio, la croce, possiamo vederli come tragedie, come fallimenti, o possiamo vederli anche come momenti di rinascita, per poter fare nuovamente l’esperienza dell’amore di Dio.
Paolo, nel brano della Lettera agli Efesini, ci ricorda che Dio, nel suo Amore e nella sua Misericordia, ci ha fatto rivivere e ci ha salvati attraverso la risurrezione di Gesù: e questo è gioia, è grazia. Dice Gesù a Nicodemo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Tanti di altre religioni, e anche tanti cristiani, considerano la Croce di Gesù, come un fallimento, e cercano di nasconderla; noi consideriamo la Croce come una benedizione di Dio nei confronti di ciascuno di noi.
“Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù”. E questo è gioia! “Rallegrati, Gerusalemme. Esultate e gioite”. Nella nostra vitta ci capitano tante cose che noi consideriamo “negative” (la morte di una persona cara, la morte di qualche figlio, il trovaci soli e abbandonati, la perdita dei nostri beni …),cose che sono un male, ma che possono riportarci a Dio: rivolgiamo nuovamente i nostri occhi verso Dio.

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