6 domenica Ordinario
Liturgia della Parola > Tempo Ordinario
6 domenica Ordinario
Quando ascoltiamo o leggiamo il Vangelo, notiamo molte guarigioni di persone che erano colpite dalla lebbra, e la lebbra era una malattia molto presente ai tempi di Gesù. Era una situazione molto triste: i lebbrosi erano costretti a vivere fuori dai villaggi e dalle città, non potevano incontrare persone ed erano costretti a vivere isolati, senza avere rapporti sociali neanche con i parenti. Se si voleva evitare il contagio, si era costretti ad agire in questo modo. Era una situazione molto triste e dolorosa. Inoltre, a causa di questa malattia, i lebbrosi erano considerati delle persone impure.
La lebbra è quasi scomparsa nei paesi occidentali, non esiste più; però ci sono tante altre malattie che condizionano il nostro rapporto: pensiamo agli ammalati oncologici che vivono separati dagli altri e non vengono visitati o che noi preferiamo non visitare, o altre persone colpita da vari mali, che vivono lontane dagli altri. Oggi, a causa della pandemia, anche noi stiamo vivendo una situazione che è molto simile a quella dei lebbrosi. Da un anno siamo costretti a non poter incontrare i nostri parenti e amici, non possiamo più neppure stringerci la mano o pranzare assieme, e non possiamo neppure scambiarci il segno della pace. Non possiamo più incontrarci tra di noi per scambiarci una parola di sollievo e darci un aiuto vicendevole. E tutti quanti ci lamentiamo per questa situazione, perché riconosciamo che abbiamo bisogno degli altri e che non possiamo vivere isolati. Quando sperimentiamo malattie gravi o questa situazione della pandemia, ci rendiamo conto della nostra fragilità umana, e i nostri occhi si spalancano verso il dolore, la sofferenza, e ci mostrano anche la possibilità della morte, e spesso prendiamo coscienza che il male che ci opprime è conseguenza del peccato dell’uomo. E allora, come stiamo facendo in questo periodo, i nostri occhi si innalzano verso Dio, per chiedere il suo aiuto, e facciamo come questo lebbroso che si rivolge a Gesù e gli dice “Se vuoi, puoi purificarmi”.
Tra di noi non esiste più la lebbra, come male fisico, ma, purtroppo, c’è un’altra “lebbra” che affligge tutta l’umanità, ed è il peccato, è l’odio, è la lontananza da Dio, è la violenza che spesso anche rivolgiamo verso gli altri. Esiste la lebbra della miseria, della povertà, la lebbra del nostro egoismo. “Se vuoi, puoi purificarmi”: è questa la richiesta principale che dobbiamo rivolgere al Signore. Forse la guarigione fisica non avverrà, ma Dio ci concede senz’altro la grazia della sua Misericordia che purifica il nostro cuore, e ci da l’occasione di avere uno sguardo diverso e sereno nei confronti della morte. Anche la malattia e la sofferenza, anche il nostro dolore, possono essere una medicina, molto amara da digerire, ma che ci fa incontrare con Dio che perdona i nostri peccati e ci fa gustare la nuova vita che ci prepara alla vita eterna. E questa “nuova vita” è quella che ci indica Paolo, cioè, che la nostra vita deve essere vissuta per la gloria di Dio, cercando solo l’interesse degli altri.
Spesso, dopo un miracolo, come anche nel brano odierno, Gesù invita il miracolato a tacere, e, infatti, dice “Guarda di non dire niente a nessuno”: ma questa sua richiesta spesso non è stata osservata, perché uno che fa esperienza della misericordia di Dio sente la necessità di annunciarla. Gesù chiede di non parlarne perché non vuole pubblicità (a differenza dei ‘miti’ odierni), ma principalmente lo chiede perché c’è bisogno di silenzio e di preghiera perché una persona “miracolata” possa sperimentare la bellezza della Misericordia e dell’amore paterno di Dio Padre.
“Se vuoi, puoi purificarmi!”: chiediamolo dal profondo del nostro cuore, per poter iniziare una nuova vita di Amore verso Dio e verso i nostri fratelli.