2 Pasqua
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2 domenica di Pasqua
Il Signore risorto desidera farci diventare creature nuove, in modo che non abbiamo più paura della morte e non ci lasciamo condizionare dalla tristezza. E questo non è facile, come non lo è stato neppure per i primi cristiani e per gli apostoli.
In questa seconda Domenica di Pasqua celebriamo la Festa della Divina Misericordia, che è stata istituita da Papa Wojtyla, durante la canonizzazione di Santa Faustina Kowalska, il 30 aprile del 2000, e la Liturgia ci offre alcuni spunti che dobbiamo cercare di realizzare all’interno della nostra comunità, perché possiamo vivere veramente la Pasqua e possiamo essere, nella nostra vita, dei testimoni del Signore Risorto.
Il brano degli Atti ci presenta la vita della prima comunità, con queste parole: “La moltitudine di coloro che erano diventati cristiani aveva un cuore solo e un’anima sola”. C’era una profonda comunione tra loro: vivevano in comunione spirituale e anche in comunione di beni materiali, tranne in qualche caso, perché i primi cristiani si sentivano membri di una sola famiglia che era radunata nel nome del Signore risorto. Ognuno continuava a essere diverso dagli altri, come siamo noi, ognuno con la propria mentalità e la propria convinzione, eppure trovavano l’unità nella Chiesa, perché appartenevano a Cristo Signore. Se noi apparteniamo a una comunità cristiana dobbiamo allontanarci dall’individualismo per non creare ingiustizia e sofferenza negli altri fratelli. E questo è molto difficile, come non è stato sempre semplice anche all’interno della prima comunità, dove alcune volte predominava anche l’egoismo. Certamente non è facile neppure per noi abbandonare le nostre paure e le nostre convinzioni per entrare veramente nel rapporto d’amore con il Signore e con i nostri fratelli.
I primi cristiani, anche in mezzo a tante difficoltà, cercavano di vivere nell’amore vicendevole per essere testimoni del Signore risorto. Non riuscivano a farlo spinti dalla loro volontà umana, ma ci riuscivano perché accoglievano il dono dello Spirito Santo: infatti, essere testimoni è un dono che ci elargisce lo Spirito: “Ed è lo Spirito che dà testimonianza”. Chiediamo anche noi il dono dello Spirito, perché nella nostra vita, con l’amore, con la disponibilità e con il perdono, possiamo essere sempre testimoni di Cristo risorto.
Una ultima idea che desidero lasciarvi la prendo dal Vangelo. Tutti noi siamo come Tommaso, che è chiamato “didimo”, che significa “gemello”. Forse perché è nostro gemello,
perché anche noi abbiamo i nostri dubbi nel credere, vogliamo vedere, vogliamo toccare. Spesso abbiamo lo stesso dubbio di Tommaso. Non sappiamo se Tommaso abbia toccato le piaghe del Signore; ma gli è bastato solo incontrare personalmente Gesù e professare la sua fede, esclamando: “Mio Signore e mio Dio”. Ricordiamoci le parole di Gesù che aveva definito “beati”, “quelli che non hanno visto e hanno creduto”, cioè, tutti noi. Siamo beati, felici, perché crediamo nella sua presenza, perché siamo animati sempre dalla speranza in ogni situazione, siamo beati perché abbiamo gli occhi della fede e riconosciamo la sua presenza nella nostra vita quotidiana. Siamo beati perché non ci lasciamo vincere dal desiderio del possesso e accogliamo Dio così come si presenta. Siamo beati perché ci abbandoniamo a Cristo, senza fare tante domande.
Come ha fatto Tommaso, esclamiamo la nostra professione di fede vivendo nella nostra vita l’ amore e la pace di Dio. Abbiamo incontrato il Risorto che ha parlato al nostro cuore: Lui stesso ora ci invia nelle strade del mondo per annunciare a tutti le meraviglie che Dio compie per noi.
“Mio Signore e mio Dio”.